Legge 194/78: autodeterminazione e tutela della salute
di Pina Adorno
Nel panorama inquietante che negli ultimi anni si è andato delineando a proposito dell’applicazione della legge 194/78, il pronunciamento della Consulta della Corte Costituzionale, che ha giudicato “manifestamente inammissibile” la questione sollevata dal giudice tutelare di Spoleto di legittimità costituzionale della legge che regola l’interruzione volontaria della gravidanza, è uno dei pochi elementi di conforto e rassicurazione.
E’ di pochi giorni fa la diffusione dei dati sull’obiezione di coscienza in Italia a cura di Laiga (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194), che mettono in evidenza le evidenti omissioni da parte del Servizio Sanitario Regionale circa l’applicazione della 194, con 10 strutture pubbliche e convenzionate su 31 che non effettuano IVG, con il 91,3 % di ginecologi ospedalieri obiettori e con tre provincie su cinque che non effettuano l’aborto terapeutico (Frosinone, Rieti e Viterbo).
Nella Regione Lazio, come del resto anche in altre regioni italiane, è ormai ciclico l’attacco alla 194 con tentativi, sempre meno maldestri e sempre più insidiosi, di invalidarla attraverso la ‘revisione’ della normativa che regolamenta l’attività dei consultori familiari, avocando ad associazioni private e di ispirazione religiosa il compito di dissuadere le donne dall’intenzione di interrompere la gravidanza.
Per non parlare della prassi, ormai consolidata da diversi anni, di predisporre disegni di legge e attribuzioni di fondi - dal livello più basso dei municipi via via risalendo fino a quello dello Stato - finalizzati a Piani per la famiglia che hanno come obiettivo la salvaguardia della “vita” e l’intralcio all‘applicazione della 194.
L’ultimo in ordine di tempo è il Piano Nazionale per la Famiglia, deliberato dal Consiglio dei Ministri il 7 giugno 2012, che trova il modo di inserire nell’articolato punti di vista generici, preconcetti e non informati sui consultori, sull’esigenza di superare l’ormai anacronistica visione di genere di questo servizio e di monitorare gli interventi dei consultori a sostegno delle alternative all’aborto.
Sembrano rivitalizzate le aspirazioni di incremento demografico attive nel “Ventennio”, aspirazioni che però vengono espresse e perseguite in un’epoca dove il problema è esattamente l’opposto: da una parte la sovrappopolazione planetaria, la crisi economica mondiale e la disoccupazione in crescita esponenziale ovunque, e dall’altra le difficoltà per chi desidera un figlio di accedere alla procreazione medicalmente assistita, di essere tutelata nel mantenere il lavoro, di ottenere servizi educativi e sociali adeguati. Lo stesso Movimento per la Vita aiuta le donne solo se si rivolgono ai loro centri entro il III° mese!!!
Non male da parte di “tecnici” di calibro e fama internazionale, quando tutti gli organismi internazionali che si occupano di sanità, di promozione e di tutela della salute delle popolazioni, considerano la normativa italiana sui consultori quanto di tecnicamente più avanzato esista!
Lavoro nei consultori da oltre trent’anni e sono obbligata a confrontarmi frequentemente con lo svolgersi dei processi decisionali che portano all’interruzione o alla prosecuzione di una gravidanza iniziata. E’ un aspetto faticoso del mio lavoro perchè coinvolge inevitabilmente anche i miei valori e le risonanze psicologiche che determinano, ma è un lavoro che considero fondamentale perché fa crescere nelle donne e negli uomini la conoscenza di sé, delle proprie risorse e dei propri limiti, e la consapevolezza della responsabilità che ognuno può e deve esercitare e rivendicare rispetto alla tutela della propria e dell’altrui salute, nell’unica accezione possibile che comprende il corpo, la psiche, la relazione.
La decisione se proseguire o interrompere la gravidanza ha una complessità tutta particolare che la differenzia dalle altre scelte che ogni essere umano deve affrontare nel corso della propria vita: oltre alle conseguenze che produrrà sul futuro individuale di ciascuno, contiene implicazioni valoriali, relazionali, psichiche, nelle quali la componente soggettiva viene esaltata al massimo in quanto la realtà “oggettiva” che potrebbe orientare la scelta non è rintracciabile e non dà indicazioni utili: semplicemente non c’è.
Per questa ragione credo nella funzione di empowerment che noi operatori dei consultori possiamo e dobbiamo svolgere nei confronti delle donne e degli uomini che varcano la soglia dei nostri servizi o che incontriamo nel corso degli interventi di “offerta attiva”.
Sono convinta che il massimo degli sforzi e delle risorse vada indirizzato negli interventi di prevenzione primaria e nella promozione della salute sessuale e riproduttiva, ma considero utile, importante, ricco e formativo, nella prospettiva del raggiungimento degli stessi obiettivi, anche lavorare bene con le donne e le coppie che chiedono l’interruzione volontaria della gravidanza.
Ci sono donne e associazioni femministe che considerano il passaggio dal consultorio familiare e il colloquio con l’operatore come un’ingerenza indebita che mina il diritto della donna ad autodeterminarsi. Rispetto questa posizione, ma credo, al contrario, che la possibilità di un confronto con professionisti formati per accompagnare e sostenere il processo decisionale in atto, sia fondamentale per uscire con prospettive evolutive dal vicolo cieco dell’out-out in cui la donna si trova e per far uscire la donna dalla solitudine e dal silenzio di una decisione così complessa. A patto naturalmente che la consulenza sia rispettosa dei tempi e della soggettività della donna e che non pretenda di sapere in anticipo quale sia la cosa giusta per quella donna e per quella coppia.
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