Riceviamo dal collettivo femminista Medea di Torino le riflessioni che di seguito pubblichiamo, scaturite dalla recente sentenza del Tar del Piemonte che non ha accolto il ricorso delle donne contro la delibera della Giunta Cota, che prevede la presenza del Movimento per la vita nei consultori pubblici e contributi economici alle donne che rinunciano ad abortire.
Una donna non COnTa niente!
Guardare alla Lombardia dal Piemonte non è cosa nuova. Si va a Milano a lavorare, o si vorrebbe, considerata la situazione, indegna, dei treni per i pendolari, e si va a Milano a far shopping, qualche ora tutto compreso con l’alta velocità…dall’elezione in Piemonte di Roberto Cota, presidente della Giunta Regionale, si va a Milano a prendere ispirazione, per non dire a copiare, come dal vicino di banco più bravo: sanità, istruzione, amministrazione del territorio: non è mai stato un mistero, sin dalla campagna elettorale, con quanta convinzione questa coalizione considerasse il modello Formigoni esempio cui tendere, traccia entro la quale muoversi.
Superando per integralismo persino il Movimento per la Vita – che si è “limitato” a premere per la presentazione di una legge regionale che finalmente legittimasse l’ingresso dei suoi volontari entro i consultori in ottica antiabortista, il che, ricordiamolo sempre, vuol semplicemente dire contro le donne e la loro capacità di scelta sul proprio corpo e ha ottenuto di fatto un atto amministrativo il cui iter, nonostante la sentenza del Tar, è ancora tutto da definire – la Giunta Cota ha dichiarato una vera e propria guerra al principio di autodeterminazione, colpendo da un lato i consultori, le cui finalità, sostanza e attività vengono completamente stravolte e dall’altro le donne, alle quali si gettano in faccia pochi euro purché non abortiscano.
Alcune riflessioni, alcune obiezioni, sono ovvie e più volte avanzate, dall’inutilità di un sostegno economico limitato nel tempo, alla mancanza di politiche reali a sostegno delle donne, tutte, madri o meno, dalla evidente incompetenza di chi parla di consultori e dimentica che dovrebbero essere i luoghi della salute delle donne, non dell’imposizione e del controllo, alla pericolosità di un meccanismo fatto di commissioni, ammissioni, schedature, volontari, obiettori che di fatto impedisce alle donne di interrompere una gravidanza nei tempi previsti dalla legge e con tutte le garanzie di professionalità, gratuità e accoglienza dovute.
Trovate tutto ciò nei giornali di ieri.
Ci troviamo, da più di trent’anni a difendere una legge, la 194, che ha in sé sin dalla sua scrittura e approvazione le spaccature e le contraddizioni grazie alle quali si è arrivati in alcune regioni al 90% di obiettori di coscienza e a breve avremo i fanatici, nonché incompetenti, del Movimento per la Vita nei consultori: base e legittimazione di progetti come il Fondo Vita del Piemonte, copia del progetto Nasko della Lombardia e simili, promossi anche da amministrazioni di centro sinistra, sono proprio quella tutela della maternità e quella rimozione delle cause che inducono la donna all’aborto richiamate dalla stessa 194.
Ci troviamo a difendere strenuamente consultori che diminuiscono di numero, competenze, funzioni e copertura economica anno da tentativi di ridefinizione tesi esclusivamente alla loro desertificazione a favore del privato, anche cattolico, sociale, volontario.
Difendiamo la 194, difendiamo i consultori. Ancora.
Ma è doveroso ampliare l’ambito della riflessione.
Ogni regione replica in fotocopia atti, proposte, delibere e leggi contro le donne come in un girotondo folle: Torino copia Roma, il Veneto copia Roma e Milano, Torino riprende da Milano, l’Emilia e la Toscana ricalcano un po’ tutte.
Identici gli attori: i cattolici integralisti ispirano, i fascio/leghisti presentano (l’emendamento approvato ieri dalla Giunta del Piemonte, per esempio, è a firma di Gianluca Vignale, (Fronte della Gioventù anni ’80 e ’90), le amministrazioni di centro destra e centro sinistra approvano.
Che bisogno c’è di imbarcarsi in un attacco frontale dall’esito non scontato contro la legge 194 quando è in ogni singolo, delimitato e chiuso territorio che di fatto viene impedito alle donne di scegliere?
Identiche le linee ispiratrici: schedatura, controllo e colpevolizzazione.
L’insistenza sul dato economico non è casuale soprattutto perché sottende l’incapacità di una donna a prendere decisioni che non siano dettate da altro da sé: non si può semplicemente non volere un figlio, si deve non poterlo mantenere materialmente. Nulla è gratis, neppure un’incubatrice…paga il fondo per la vita.
La risposta? Attenzione capillare delle donne in ogni città, scambio di informazioni, costruzione di reti di intervento efficaci nelle grandi centri e soprattutto in quelli minori.
Un atto amministrativo, un emendamento, una proposta di legge che giace in commissione oggi rappresentano modalità di insopportabile offesa alle nostre vite in un ambito che è solo nostro, maternità sessualità aborto: se è vero che sul corpo delle donne non si danno leggi, che siano le donne a gridarlo forte, fuori dalle giunte, dalle commissioni, dai tribunali amministrativi.
Noi, appunto, noi siamo fuori…ieri mattina ci siamo svegliate e abbiamo letto i giornali.
Ma…e le donne che stanno “dentro”?…
http://www.medea.noblogs.org/
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