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16 febbraio 2012

La vita siamo noi

Comunicazione di Laura Piretti

UDI - Unione donne in Italia - Modena
e componente del gruppo nazionale UDI Generare oggi


Siamo in molte provenienti dalla Regione Emilia Romagna e della realtà dei consultori di questa regione si sono già sentite più voci. Non sono un'operatrice e non sono una amministratrice, dunque non porterò dati che sono in ogni caso facilmente reperibili. I consultori di Modena sono una realtà molto consolidata; sono stati istituiti prima ancora della legge nazionale ed hanno conosciuto una forte partecipazione delle donne, attraverso i comitati di gestione sociale

Il mio punto di vista è quello di una donna che sia a livello locale che nazionale, attraverso l'UDI, ha partecipato e seguito con particolare attenzione le questioni riguardanti il corpo e la salute delle donne, la maternità, la nascita, la non nascita, la legge 194, la legge 40. Vi sono anche documenti sia dell'UDI di Modena che nazionali, nei quali sono contenute riflessioni e proposte attorno a questi temi, riflessioni nate dal confronto non solo interno alla nostra associazione, ma con altre associazioni di donne e gruppi e singole oltre che con le istituzioni là dove è stato necessario.

Anche per il poco tempo che abbiamo e per la necessità di far parlare le molte che ancora sono iscritte, credo sia utile portare alla discussione di questa Assemblea e all'elaborazione che i gruppi dovranno fare, alcune considerazioni parziali, rispetto ai problemi complessivi, ma che toccano, secondo me, alcune criticità di fondo.

Sui consultori non credo che neppure l' Emilia Romagna sia un'isola felice, come forse è sembrato capire da alcuni interventi, nonostante il loro alto tasso di "resistenza" rispetto allo scadimento e difficoltà e svuotamento di significato che si registra ormai da tante parti.

Ho sentito dire che le donne stanno abbandonando i consultori, nel senso che, a parte le donne straniere, le giovani, le meno giovani e le donne "storiche", quelle che hanno fatto la battaglia per i consultori, al Consultorio non ci vanno più. Credo sia vero per i tanti motivi che sono stati detti: a parte le eccellenze, sparse ovunque sul territorio, e le resistenze alla normalizzazione, sono spesso meri ambulatori di scarsa accessibilità, spesso integrati nel servizio ospedaliero, dove non si parla più di sessualità, di interventi integrati. Hanno perso quell'identità che avevano all'inizio, (pur nel compromesso di definirli "Consultori familiari"), dovuta anche alla motivazione e alla formazione delle operatrici e degli operatori, e dal loro lavorare in equipe.

Aggiungo che le donne che "partecipavano" attorno ai consultori sono state allontanate con la chiusura delle gestioni sociali, con l'aziendalizzazione dei consultori così come di tutta la sanità. Si è mai visto un'azienda che permette ad utenti/clienti di interferire su programmi, servizi ecc? Al loro posto i comitati consultivi misti, dove la "partecipazione" non è "per utenza" ma "per associazioni", dove il tema salute donna è insieme con oculistica e cardiologia ecc.

Dunque occorre ripensare ad una partecipazione delle donne attorno ai Consultori, partendo dalle situazioni locali.

Sui temi "caldi" che attraversano i Consultori e sui quali siamo sempre in trincea, ad esempio la legge 194, ho fatto nel corso degli anni alcune riflessioni/esperienze che vi riporto.

1)- Siamo tutte e tutti, rispetto alla laicità dello stato, su di un piano inclinato da molti anni, soprattutto sui temi cosiddetti eticamente sensibili, quali nascita e morte, piano che scivola verso forme di fondamentalismo cattolico (il famoso "non possumus"). Abbiamo una legge avanzata che funziona, frutto di un forte compromesso che oggi forse non sarebbe nemmeno possibile, ma con dentro alcuni "cavalli di Troia" come li chiamo io.

Dunque: la legge che nessuno vuole toccare, ma attenzione alle linee guida regionali, e poi, a cascata, a tutti i protocolli e protocollini locali che possono e spesso vogliono stravolgere la legge.

2)- Grande attenzione va posta alla questione del primo colloquio con la donna, nel quale non debbono comparire figure diverse da quelle previste dalla legge, e con intendimenti dissuasivi o investigativi o di aiuto socio-psicologico a prescindere. La prevenzione dell'aborto non è la dissuasione delle donne che hanno deciso di abortire o considerare la donna un caso umano da aiutare solo perchè chiede un'interruzione.

3)- la rete del sociale per sostenere le donne che potrebbero e vorrebbero, se aiutate nei modi da loro richiesti, portare avanti la gravidanza, deve essere esterna al percorso dell'IVG, in contatto con, in rete con, ma non dentro, tanto meno fisicamente dentro ai consultori.

4)- In questa rete (e in convenzione con i consultori pubblici) non possono stare associazioni che hanno nel loro statuto la lotta contro la legge 194 e che , come accade a Modena, pregano davanti al policlinico, in realtà insultano le donne, i medici e la legge 194 con cartelli del tipo "fermiamo le mani assassine"oppure "mamma fammi vivere" e sono intollerabili lì, in quel luogo.

5)- Il tasso di "prevenzione", inteso nel senso di quanti aborti "si evitano", deformazione aberrante dello spirito e della lettera della legge , non può essere nè poco nè tanto un criterio che entri nell'identità e nella mission dei consultori. A Modena qualche anno fa abbiamo verificato che lo scarto fra le IVG richieste e poi quelle effettivamente fatte era percentualmente superiore, senza nessun protocollo speciale, pensato apposta per dissuadere, rispetto a quei protocolli di Forlì e poi anche Correggio, di cui tanto almeno dalle nostre parti si è parlato, e che si prefiggevano (assistente sociale al primo colloquio e altre forme di riflessione, contrizione ecc.) lo scopo preciso di "evitare" aborti e dunque fare pienamente prevenzione!

Questa inclinazione alla dissuasione, questa accettazione supina dell'idea che viene da anni propagandata che il consultorio pubblico sia abortista (!) e dunque per la prevenzione e per un sano pluralismo, ci voglia il privato cattolico è stato proprio il virus da cui qualche anno fa furono contagiate le linee guida regionali dell'Emilia Romagna e contro il quale si sono mobilitate in modo memorabile oltre alle UDI locali, associazioni, gruppi e donne singole.

6)- Obiezione di coscienza dentro ai consultori e, soprattutto dentro ai reparti dove si attuano le IVG.

La legge 194, pur così permissiva sulla cosiddetta "obiezione di coscienza", prevede chiaramente che i luoghi pubblici e convenzionati debbano garantire il servizio anche con la mobilità degli operatori, non certo con quella delle donne.

Per indicare l'insostenibilità di un'obiezione così poco impegnativa per chi la fa e così difficile per chi non la fa, l'UDI ha già pubblicamente annunciato due iniziative che, localmente, sta già portando avanti in tutte le occasioni in cui se ne presenta la possibilità e che nazionalmente dovrebbero essere lanciate da alcune iniziative forti.

a)- cambiare il modo come viene denominata l'obiezione di coscienza ed incominciare a chiamarla "astensione facoltativa da prestazione di lavoro";

b)- richiedere alle direzioni sanitarie la consultabilità degli elenchi dei medici obiettori rispetto alla 194. Non solo ginecologhe e ginecologi, ma anche medici di famiglia. Ai dinieghi che fino ad ora ci sono stati fatti in nome del fatto che il dato è sottoposto a privacy, noi rispondiamo che la non consultabilità, al momento della scelta del medico o in altri momenti sensibili , contrasta con il principio della scelta informata.

Anche su questo andranno avviate diffide e/o vere e proprie iniziative giudiziarie.


Roma 21 gennaio 2012

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